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´A Livella. Totó, nel giorno dei morti.

  • Annalisa
  • 2 nov 2017
  • 3 Min. de lectura

Totò, Antonio de Curtis, (Napoli, 15 febbraio 1898 – Roma, 15 aprile 1967), è stato un attore italiano.

Attore simbolo dello spettacolo comico in Italia, soprannominato «il principe della risata», è considerato, anche in virtù di alcuni ruoli drammatici, uno dei maggiori interpreti nella storia del teatro e del cinema italiani. Si distinse anche al di fuori della recitazione, lasciando contributi come drammaturgo, poeta, paroliere e cantante.

Qui riportiamo la traduzione della sua famosa poesia 'A livella.

La livella è uno strumento usato generalmente da chi lavora nel campo dell'edilizia per "livellare" una superficie, cioè stabilirne l'orizzontalità. Totò, nella sua poesia 'A livella, la usa come metafora della morte, livellatrice di ogni tipo di disuguaglianza esistente tra i vivi.

La livella

[Traduzione in italiano a cura di Aforismario]

Ogni anno, il due novembre, c'è l'usanza

per i defunti andare al Cimitero.

Ognuno deve fare questa gentilezza;

ognuno deve avere questo pensiero.

Ogni anno, puntualmente, in questo giorno,

di questa triste e mesta ricorrenza,

anch'io ci vado, e con dei fiori adorno

il loculo marmoreo di zia Vincenza.

Quest'anno m'è capitata un'avventura ...

dopo aver compiuto il triste omaggio

(Madonna!) se ci penso, che paura!

ma poi mi diedi anima e coraggio.

Il fatto è questo, statemi a sentire:

si avvicinava l'ora di chiusura:

io, piano piano, stavo per uscire

buttando un occhio a qualche sepoltura.

"Qui dorme in pace il nobile marchese

signore di Rovigo e di Belluno

ardimentoso eroe di mille imprese

morto l'11 maggio del '31".

Lo stemma con la corona sopra a tutto ...

...sotto una croce fatta di lampadine;

tre mazzi di rose con una lista di lutto:

candele, candelotte e sei lumini.

Proprio accanto alla tomba di questo signore

c’era un'altra tomba piccolina,

abbandonata, senza nemmeno un fiore;

per segno, solamente una piccola croce.

E sopra la croce appena si leggeva:

"Esposito Gennaro - netturbino":

guardandola, che pena mi faceva

questo morto senza neanche un lumino!

Questa è la vita! tra me e me pensavo...

chi ha avuto tanto e chi non ha niente!

Questo pover'uomo s'aspettava

che anche all’altro mondo era pezzente?

Mentre rimuginavo questo pensiero,

s'era già fatta quasi mezzanotte,

e rimasi chiuso prigioniero,

morto di paura... davanti alle candele.

Tutto a un tratto, che vedo da lontano?

Due ombre avvicinarsi dalla mia parte...

Pensai: questo fatto a me mi pare strano...

Sono sveglio...dormo, o è fantasia?

Altro che fantasia! Era il Marchese:

con la tuba, la caramella e il pastrano;

quell’altro dietro a lui un brutto arnese;

tutto fetente e con una scopa in mano.

E quello certamente è don Gennaro...

il morto poverello... il netturbino.

In questo fatto non ci vedo chiaro:

sono morti e si ritirano a quest’ora?

Potevano starmi quasi a un palmo,

quando il Marchese si fermò di botto,

si gira e piano piano... calmo calmo,

disse a don Gennaro: "Giovanotto!

Da Voi vorrei saper, vile carogna,

con quale ardire e come avete osato

di farvi seppellir, per mia vergogna,

accanto a me che sono blasonato!

La casta è casta e va, sì, rispettata,

ma Voi perdeste il senso e la misura;

la Vostra salma andava, sì, inumata;

ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso

la Vostra vicinanza puzzolente,

fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso

tra i vostri pari,tra la vostra gente".

"Signor Marchese, non è colpa mia,

io non vi avrei fatto questo torto;

mia moglie è stata a fare questa fesseria,

io che potevo fare se ero morto?

Se fossi vivo vi farei contento,

prenderei la cassa con dentro le quattr'ossa

e proprio adesso, in questo stesso istante

entrerei dentro a un'altra fossa".

"E cosa aspetti, oh turpe malcreato,

che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?

Se io non fossi stato un titolato

avrei già dato piglio alla violenza!"

"Fammi vedere! prendi 'sta violenza...

La verità, Marchese, mi sono stufato

di ascoltarti; e se perdo la pazienza,

mi dimentico che son morto e son mazzate!

Ma chi ti credi d'essere...un dio?

Qua dentro, vuoi capirlo che siamo uguali?...

...Morto sei tu , e morto son pure io;

ognuno come a un altro è tale e quale".

"Lurido porco!... Come ti permetti

paragonarti a me ch'ebbi natali

illustri, nobilissimi e perfetti,

da fare invidia a Principi Reali?".

"Ma quale Natale, Pasqua e Epifania!!!

Te lo vuoi ficcare in testa... nel cervello

che sei ancora malato di fantasia?...

La morte sai cos’è?... è una livella.

Un re, un magistrato, un grand’uomo,

passando questo cancello, ha fatto il punto

che ha perso tutto, la vita e pure il nome:

non ti sei fatto ancora questo conto?

Perciò, stammi a sentire... non fare il restio,

sopportami vicino - che t'importa?

Queste pagliacciate le fanno solo i vivi:

noi siamo seri… apparteniamo alla morte!".

 
 
 

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